A mio padre Fortunato Amodei
Maestro ad Incisa
LE RAGIONI DI UN PROGETTO
Chi scrive ha più ragioni per essere legato al Vivaio, sia come luogo di memorie storiche sia come centro pulsante di vita religiosa.
La prima è che proprio ad Incisa Valdarno ho passato i migliori anni della mia adolescenza e giovinezza: mio padre, Fortunato Amodei, è stato il "maestro elementare" dal 1948 al 1976. E' sepolto al cimitero dei Ciliegi. Mi sono cresimato e comunicato al Vivaio; ho visto i miei primi castigati film nel cinema accanto. E' ad Incisa che, prima ancora della laurea, mi sono avvicinato ai primi lavori (lezioni private, artigianato del legno, consorzio agricolo, corrispondenza giornalistica per "La Nazione") ed ho insegnato per tre anni nella locale scuola media. Tra i mille ricordi c'è anche l'alluvione del 4 novembre 1966 che colpì me e i miei amici proprio ad Incisa: a venti anni fui tra gli "angeli del fango" che aiutarono Firenze a recuperare le opere danneggiate dalla furia dell'Arno. Fino al 1973 ho poi vissuto ad Incisa con mia moglie Grazia; ma, anche dopo essermi trasferito, ho mantenuto i legami con gli amici, cercando di partecipare alla vita di questa comunità e di contribuire ancor oggi, per quanto mi è possibile, alla sua crescita civile.
La seconda ragione di questo progetto è che sono stato il fondatore, nell'oramai lontano 1976, dell'Istituto per l'Arte e il Restauro di Firenze, più noto con la denominazione di Palazzo Spinelli, del quale sono stato prima direttore e ora presidente. E' stato proprio ad Incisa, domenica 26 settembre 1976, che con il mio amico d'infanzia Sauro Martini, grande restauratore di legni antichi, ora scomparso, abbiamo pensato per la prima volta ad un centro di formazione. Eravamo a sorvegliare le nostre Elena e Francesca, due anni appena, sempre in sella ai cavalli di legno della giostra della festa del Perdono; e ci ponevamo il problema di cosa fare di nuovo e di bello, lui restauratore, io docente di diritto ed economia. Tante volte abbiamo ricordato quel giorno che ha contribuito a cambiare la vita di migliaia di giovani di ogni nazionalità ed a conservare innumerevoli opere minori che si sarebbero altrimenti perdute.
La terza ragione di questo progetto è che mi consente di pubblicare, con l'Imprimatur di S.E. Mons. Luciano Giovannetti, Vescovo di Fiesole, tre "Preghiere del Restauratore". Finalmente, questo mio sogno si realizza, per la prima volta nella storia del restauro, grazie all'aiuto degli scrittori Giuseppina Amodei, Dante Maffia e Pasquale Troìa. Le preghiere sono riportate in appendice a pagina 86 con una mia nota introduttiva.
La quarta ragione di questo progetto è che esso riveste un ruolo culturale originale, presentando, in una sola pubblicazione, non tanto le opere già restaurate, ma piuttosto le opere "prima del restauro". Le loro foto non sono quindi attraenti, ma sono utili per la ricerca di finanziamenti da parte di piccoli e grandi sponsor. Sono certo che, con l'aiuto della Provvidenza, il prossimo libro conterrà le foto delle opere nella loro bellezza "dopo il restauro".
Nell'una e nell'altra veste, conoscendo la chiesa dei Santi Cosma e Damiano e il suo convento, ho cercato in più di un'occasione di favorire iniziative che ne tutelassero il ricchissimo patrimonio artistico, tuttavia sempre in modo sporadico, senza verificare gli effettivi risultati conseguiti.
Tutto questo fino a che non ho avuto modo di conoscere don Lorenzo e, insieme a lui, di formulare un progetto di più lunga durata (si direbbe oggi un Master Plan) per fare in modo che i già consistenti interventi di restauro, promossi da una parte dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio e dall'altra dalla Soprintendenza al Patrimonio Storico Artistico ed Antropologico, trovassero in loco forze capaci di portare a pieno compimento il recupero complessivo della chiesa, ovvero consentissero di integrare i finanziamenti statali che, com'è noto, da una parte sono endemicamente esigui tenendo presente i tesori che la nostra provincia (e l'Italia tutta) conserva, dall'altra sono legati a capitoli di spesa annuali che non possono altro che provocare, nonostante l'impegno dei singoli funzionari che operano sul territorio, interruzioni dei cantieri, sospensioni dei lavori, ritardi e quant'altro.
E tutto ciò sviluppando il progetto nell'arco di un decennio, di modo che in occasione della ricorrenza dei cinquecento anni dalla sua fondazione (6 gennaio 1516), il Vivaio possa rivivere un significativo momento storico.
Nella sua sostanza, l'articolazione del progetto, come sarà meglio presentata in queste stesse pagine da don Lorenzo, poggia su quanto sperimentato da Palazzo Spinelli, in parte in alcuni cantieri delle chiese fiorentine di Santa Felicita e di San Carlo dei Lombardi. In accordo con l'Ufficio statale di tutela, dopo aver provveduto a rilevare lo stato di conservazione delle opere in loco, l'Istituto ne accoglie alcune (siano esse dipinti, arredi lignei, opere di scultura, materiale archivistico, comunque sulla base di un elenco frutto della catalogazione conservativa che segnala il carattere di maggiore o minore urgenza dell'intervento) per procedere al loro recupero.
Il ricovero di opere di proprietà ecclesiastica nei laboratori fiorentini è tuttavia prassi consueta nell'attività di Palazzo Spinelli, e prevede (grazie al fatto che questo è anche materiale vitale per lo sviluppo dei nostri corsi di formazione) la gratuità dell'intervento stesso, fatti salvi i costi di movimentazione e dei materiali impiegati.
In questa direzione, lo ricordiamo, già nove grandi tele del Vivaio sono state rimosse e trasferite nei nostri laboratori di restauro pittura, affidate alle mani esperte dei nostri 'maestri' con il coordinamento di Gabriella Forcucci. E la prima, il grande ovale dell'Immacolata Concezione, è stata già allocata al centro dell'abside dopo il restauro.
Per la chiesa dei Santi Cosma e Damiano, tuttavia, il progetto prevede (come già è accaduto per Santa Felicita e San Carlo) l'allestimento in situ di cantieri aperti a restauratori diplomati anche stranieri, che vogliano approfondire le tecniche fiorentine e, al tempo stesso, visitare il nostro territorio che, non dobbiamo dimenticarlo, ha giustamente una forte presa su questo pubblico e un ruolo centrale nell'ambito del turismo culturale.
Anche in questo caso gli interventi, sempre condotti sotto l'alta sorveglianza della Soprintendenza, risulterebbero gratuiti, se non per le spese vive relative alle attrezzature da impiegare e ai materiali di consumo (con questa stessa filosofia, ad esempio, Palazzo Spinelli sta operando con successo presso il convento Il Portico al Galluzzo, presso il monastero del padri mechitaristi dell'isola di San Lazzaro degli Armeni a Venezia, presso il Monastero de La Verna, presso il Santuario dei Santi Cosma e Damiano di Riace).
L'impegno dell'Istituto a favore del Vivaio sarà in ogni caso accompagnato da quello della Parrocchia, che si farà tramite per far convergere sul progetto contributi di enti, aziende e singoli cittadini, che potranno 'adottare' una o più opere d'arte attraverso la copertura delle spese occorrenti per i materiali e/o di quelle necessarie per il passo successivo, che è quello della loro manutenzione e valorizzazione.
Ho cercato di spiegare quanto intendiamo fare secondo parole e logiche semplici, perché semplici e chiare sono le motivazioni che ci hanno spinto a intraprendere il progetto.
Si potrebbe certo rendere il tutto molto più articolato affidando a queste pagine il piano di restauro e valorizzazione che hanno redatto i nostri esperti di management, ma il ricorso a quel linguaggio proprio del marketing ci sembra ben poco in sintonia con l'austera modestia di questi luoghi, e comunque non aggiunge nulla alla sostanza del progetto, che in estrema sintesi intende (perché, si badi bene, questa non sia solo una premessa ma un obiettivo del progetto stesso), contribuire a rafforzare nei cittadini il sentimento di appartenenza ad una tradizione culturale comune e di corresponsabilità nella tutela.
D'altra parte è di questo che ci parla tutta la storia del convento e della sua chiesa.
Come meglio spiegato nelle pagine che seguono, le cronache dei padri guardiani ci informano come la richiesta a papa Leone X in quel lontano gennaio del 1516 di costruire una chiesa e un convento nel luogo dove già i frati Osservanti avevano un ospizio, fosse stata rivolta non tanto dai religiosi ma, a gran voce, dal popolo di Ancisa.
E sappiamo come la costruzione sia stata la concretizzazione di una partecipazione collettiva all'impresa, e non solo grazie alle potenti e ricche famiglie della zona (i Castellani donarono il terreno, i Cambini si fecero carico delle spese del cantiere, i del Bianco accrebbero la proprietà con il bosco e gli orti, e via dicendo) ma anche in ragione del concorso di più umili membri della comunità del Popolo, come attesta il lavamani in pietra serena della sagrestia della chiesa, fatto fare con quanto raccolto dai fedeli nel 1560.
E ancora, in periodi a noi più vicini: quando i frati tornarono al convento dopo esserne stati allontanati a seguito delle soppressioni napoleoniche e non trovarono più gli arredi sacri (fusi, venduti o dispersi) fu la comunità dell'Incisa che nuovamente si fece coralmente avanti con donativi per risarcire le gravi perdite.
Allo stesso modo, dopo le soppressioni volute dallo stato unitario nel 1867, fu il Sindaco a trovare il modo per far sì che i frati rimanessero nel luogo, facendosi tramite per loro con il demanio.
Da parte loro i frati (nonostante come Osservanti fossero vocati all'isolamento e alla preghiera) guardarono ai problemi di Incisa in modo pratico e concreto, con un apporto che non si è mai limitato alle sole pratiche di edificazione religiosa: è in una sala di questo convento che, nel 1919, è stata fondata l'Unione dei Lavoratori Agricoli legata al Partito popolare italiano, ed è sempre in questi ambienti che nel dopoguerra è stato creato un circolo sportivo, realizzato un campo di calcio, allestita (già nel '39) una sala cinematografica, a beneficio e uso dei giovani incisani.
Ricordare questa storia, seppure per sommi capi, credo sia il modo migliore per far comprendere come chiedere oggi il contributo della collettività per la salvaguardia del patrimonio del luogo non muova da nuovi modelli di partecipazione e gestione del territorio basati su strategie di management, ma dalla nostra storia.
Ciò detto, è importante sottolineare come anche questa pubblicazione non sia solo tramite per questo progetto, ma sua parte integrante, dovendo procedere, prima ancora di chiedere di condividere le scelte, a far conoscere le testimonianze storiche e il patrimonio del complesso del Vivaio.
E crediamo che i materiali raccolti in queste pagine da Claudio Paolini e dagli altri collaboratori siano ottimo viatico per un avvio che, siamo certi, troverà nel suo prosieguo altri e numerosi sostenitori.
Al momento non possiamo che ringraziare il sindaco di Incisa, Fabrizio Giovannoni, e i soprintendenti e i funzionari degli uffici di tutela statali, senza il cui sostegno questo stesso avvio non sarebbe stato possibile.
Francesco Amodei
Presidente dell'Istituto per l'Arte e il Restauro "Palazzo Spinelli"
Incisa Valdarno, 5 ottobre 2007
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